Ecco il mio “sguardo di periferia” su come l’autismo venga maggiormente percepito dalle altre persone, in cinque punti.

Salve!

In questo post illustrerò in cinque punti le reazioni più comuni all’autismo a partire da esperienze dirette e indirette.

Ci tengo a precisare che per nessuna delle percezioni voglio fornire giudizi su quale sia l’approccio migliore o peggiore: ogni persona ha un proprio modo di vivere una neurodivergenza secondo le informazioni e consapevolezze acquisite negli anni, secondo il livello di sensibilità, secondo il proprio modo di vivere la genitorialità con persone neurodivergenti e secondo altri fattori.

Le 5 maggiori percezioni

Ecco le cinque maggiori percezioni che ho individuato, di cui fornirò degli esempi come faccio di solito:

  • come un ostacolo: quanto è bello potersi godere una passeggiata senza una persona che, una volta ottenuto ciò che vuole, per esempio un gelato, voglia tornare subito a casa perché, vuoi per noia vuoi per i suoi “limiti” a livello di neuroni specchio, non riesce a entrare nell’ottica che altre persone possano avere esigenze diverse dalle sue come volersi intrattenere di più per strada. Diventa, quindi, difficile ma non impossibile, far comprendere alla persona autistica che, oltre all’oggetto concreto ottenuto, ci sono altre cose meno “materiali” che si possono fare. Se poi questa persona autistica ha la passione per i cartoni animati e l’ansia di tornare a casa per vederli in diretta e soprattutto in tempo, guai se sulla via del ritorno si presentano degli imprevisti! In più, sempre a proposito di percezione dell’autismo come ostacolo, non tutte le persone che svolgono il mio bellissimo mestiere di insegnante sono disposte a modulare i propri approcci dando la priorità alla persona autistica, vuoi per carenti/non volute conoscenze in materia, vuoi per menefreghismo (sì, purtroppo ci sono docenti che puntano al solo stipendio fisso). Per questo tipo di insegnanti è addirittura un fastidio dover compilare scartoffie di cui la persona autistica ha pieno diritto e dover rallentare i tempi di insegnamento-apprendimento per adeguare l’ambiente classe ai ritmi di questa persona.
  • Come qualcosa di cui vergognarsi: ho conosciuto madri che preferivano tenere la propria prole autistica protetta nella propria chioccia, soprattutto a seguito di esperienze negative con familiari assenti e centri non all’altezza della situazione… così come leggo di persone che su Twitter parlano della propria prole autistica in modo del tutto naturale, pur trattando argomenti delicati, problematiche e altro. Una volta ho avuto un battibecco con due signore che avevano cambiato vagone subito dopo aver sentito mio fratello che imitava Goku. Infastidita da questo atteggiamento che trasudava vergogna e diffidenza da parte loro, ho provato a spiegare loro che se lui fa così è per via dell’autismo e loro “Ma noi lavoriamo con ragazzi così nel centro sociale” e io, indignata oltremodo, ho risposto “Azz, menomale!” per poi scendere dal treno con mio fratello e col fumo che mi usciva dalle orecchie. Per non parlare di una ex compagna di svedese che mi tolse il saluto, la parola e l’“amicizia” il giorno dopo che a un nostro incontro lo avevo portato con me per fargli fare conoscenza e per farlo stare insieme a noi non autistiche.

  • Come una piaga: penso che la fatidica domanda “che ne sarà di mio figlio/mia figlia, quando non ci sarò più?” esprima a pieno questa percezione tanto umana, visto quanto disumano sa essere il mondo. Si dà per assodato o ci si arrende all’idea che le persone autistiche (o con altre neurodivergenze e patologie) siano lasciate a sé stesse una volta che i genitori non ci saranno più; questi genitori provano un immenso dolore al pensiero che una persona con una o più neurodivergenze e patologie possa essere un peso per i fratelli/le sorelle una volta che loro saranno andati nell’aldilà.

  • Come qualcosa di funzionale: esistono diverse iniziative e ONLUS, tra cui PizzAut, che fanno in modo di incanalare a livello lavorativo i talenti delle persone autistiche, tra cui la manualità, la ripetitività dei gesti, la precisione e altro.

  • Come un’opportunità: che sia di crescita oppure solo di pura conoscenza, avere a che fare con una persona autistica apre la porta a diverse opportunità. Una volta seguii un convegno all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale incentrato sul linguaggio e, manco a farlo apposta, si parlava anche di autismo. Come dissi al mio relatore, Prof. Alberto Manco, che non ero lì per i punti di credito ma per via di mio fratello autistico, mi presentò alle varie docenti che avrebbero trattato l’argomento e quel convegno fu un’occasione per parlare in francese e per capire l’approccio verso l’autismo in un altro Paese diverso dall’Italia. In più per anni mio fratello ha creato delle opere in traforo straordinarie nella precisione dei dettagli e nell’espressività dei personaggi rappresentati. Vieni sul mio blog per scoprirle tutte! Basta inserire nel motore di ricerca del blog la parola “autismo” e troverai gli articoli inerenti.

A proposito di queste percezioni, esse sono rappresentate anche da alcuni personaggi del mio romanzo Lo sguardo di Siria, la vita di Rosa.

E ora tocca a te!

Che cosa pensi di queste percezioni?

Ne hai delle altre da illustrare?

Fammelo sapere in un commento!

Prima di concludere questo post…

ci tengo a fare una precisazione.

Parto dal presupposto che chiunque sia un essere umano prima ancora che una persona con una determinata neurodivergenza o patologia, o meglio, non è questo a definire chi sia una persona, né lo fa in maniera totale perché c’è ben altro oltre a una diagnosi.

Detto questo, per me è un mistero la percezione che le persone autistiche hanno del loro autismo. Potrei avanzare l’ipotesi che, sempre per via dei suddetti neuroni specchio e dello stretto legame che, per esempio, mio fratello ha con oggetti concreti più che con concetti astratti, magari nemmeno si pensano come persone autistiche.

Proprio per questo sono curiosissima di conoscere il punto di vista della persona direttamente interessata: un conto è parlare in vece di essa, tutt’altro è che parli direttamente lei di sé.

Pertanto se fra il mio pubblico c’è chi sa risolvermi questo mistero sull’autopercezione delle persone autistiche, sono tutt’orecchie!

Per me è un’occasione di crescita e apertura maggiore verso qualcosa che mi è abbastanza familiare, ma forse non abbastanza.

Grazie per aver letto il Substack di “Sguardi di periferia”. Questo post è pubblico, quindi prenditi la libertà di condividerlo.

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